NOTA DAL CSC – In aumento le imprese manifatturiere italiane che scelgono fornitori domestici
Il 13-Settembre-2023
- Nell’ultimo triennio governare le interdipendenze globali produttive e di fornitura si è rivelato problematico soprattutto per le imprese che hanno una filiera internazionale “tight”, con scarsa diversificazione dei fornitori. È diventato più importante tenere in considerazione il trade-off tra lo sfruttamento dei vantaggi competitivi di costo e la vulnerabilità, perché ciascuna catena di fornitura non è più forte del suo nodo produttivo più debole.
- Diverse le strategie che possono essere attuate: dalla rilocalizzazione delle attività (reshoring di produzione e/o di fornitura) in un paese diverso da quello di prima localizzazione (offshoring), all’ampliamento (redundancy) o alla diversificazione dei fornitori.
- Il reshoring di produzione è, in genere, una strategia più complessa rispetto a quello di fornitura, a causa di elevati costi irrecuperabili legati agli investimenti nel paese di destinazione. Una delle condizioni necessarie è la presenza di reti di fornitura già strutturate e dunque in grado di avvalersi di forti esternalità positive nel paese in cui si rilocalizza l’attività produttiva.
- I dati raccolti nella survey del Centro Studi Confindustria e Re4It (Reshoring for Italy) sulle strategie di offshoring e reshoring delle imprese manifatturiere nel 2021 confermano un uso limitato delle scelte di backshoring di produzione (totale o parziale). Le principali motivazioni che hanno spinto le imprese a riportare a casa le attività produttive attengono all’aumento dei costi (connessi anche alla crescita dei paesi di offshoring) e dei tempi nella gestione della catena globale di produzione.
- I risultati della survey CSC&Re4It e di quella recente del Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere (aprile 2023) evidenziano la presenza del backshoring di fornitura tra le imprese manifatturiere italiane. Circa il 75% del totale dei rispondenti all’indagine CSC&Re4It ha acquistato forniture totalmente o parzialmente da imprese estere e il 21% di queste ha effettuato, tra il 2016 e il 2020, un backshoring totale o parziale di fornitura. La quota di imprese intervistate dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere che dichiarano un aumento dei fornitori italiani oscilla tra il 15% (se si tratta di locali, cioè presenti nella stessa regione) e il 20% (al di fuori della regione).
- Entrambe le survey individuano nella maggiore resilienza, nella riduzione della distanza e nel miglioramento della qualità dei prodotti i principali fattori che influiscono sulla scelta di rilocalizzare i propri fornitori in Italia.
- La scelta del backshoring di fornitura è del tutto compatibile con l’offshoring di produzione, poiché rilocalizzare la catena di fornitura non comporta necessariamente spostare eventuali attività produttive svolte all’estero e in certi casi può costituire una modalità di rafforzamento della catena globale del valore.
- Il backshoring dovrebbe essere incentivato con misure per accrescere l’attrattività del territorio e la competitività delle imprese, sfruttando le sinergie con le politiche già esistenti a favore del “Green Deal”, della digitalizzazione e dello skill upgrading.
- L’accorciamento e la regionalizzazione delle catene del valore appaiono legate ad un aumento della sostenibilità, in quanto consentono la riduzione delle emissioni e un maggior controllo etico-sociale delle produzioni. D’altra parte, però, non appare concreta e neppure auspicabile la prospettiva di un backshoring su larga scala sia dal punto di vista globale che nazionale ed europeo. Invece, sarebbe auspicabile che la rilocalizzazione in Italia riguardasse principalmente le attività strategiche e, più in generale, quelle a più alto valore aggiunto.
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