Presentato il Circular Economy Report 2024 del Politecnico di Milano
Sfruttato solo il 14% del potenziale di economia circolare in Italia.
Nell’ultimo anno l’economia circolare ha fatto risparmiare alle imprese italiane solo 800 milioni di euro in più rispetto al 2023, portando il risparmio totale a 16,4 miliardi l’anno, solo il 14% del potenziale, lontano dai 119 miliardi attesi.
Questi i dati che emergono dal Circular Economy Report 2024 dell’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, che riporta un’indagine su oltre 550 imprese italiane.
Le aziende che hanno adottato almeno una pratica di economia circolare si fermano al 42% (46% nelle grandi aziende), il 36% è ancora scettico e non ha in piano di farlo neanche in futuro, mentre il 22% ne avrebbe intenzione: se si scende di dimensioni, poi, le percentuali si avvicinano, fino ad arrivare alle PMI dove gli scettici (il 39% e in crescita) superano gli adottatori (37%).
Il 31% delle imprese circolari ha sede in Lombardia e in genere nel Nord Italia. La strada per dichiararsi completamente circolare è ancora lunga: in una scala da 1 a 5, il valore medio di adozione che le aziende si danno è di 2,24 e solo il 3% del campione (in larga parte nel mondo degli imballaggi) si attribuisce il massimo. Cresce, anche se solo del 5%, la taglia media degli investimenti, che restano però concentrati sotto i 50.000 euro (quasi il 50%) e con tempi di ritorno che, per il 41% delle imprese, sono inferiori ai 12 mesi.
Uno degli obiettivi del Circular Economy Report 2024 è stata la raccolta e la sistematizzazione delle principali storie di successo dell’economia circolare nel nostro Paese, a partire da database esistenti ma anche monitorando le notizie di stampa. Sono state considerate solo le imprese che forniscono già al mercato prodotti secondo modelli di business circolari, indipendentemente dalla loro dimensione.
Dal punto di vista geografico, c’è una chiara prevalenza del Nord Italia, con in testa Lombardia (32% delle aziende esaminate), Piemonte (15%) e Toscana (12%). l settori più rappresentati sono il manifatturiero e l’automotive (26% del totale), che abbracciano una vasta gamma di strategie circolari, poi il tessile e abbigliamento (24%), la chimica e farmaceutica (17%). Fanalini di cosa il food & beverage (7%) e l’elettronica di consumo (6%), nonostante iniziative interessanti legate all’estensione della vita dei prodotti.
La maggior parte di queste imprese (44%) è di piccole dimensioni (il 14% addirittura micro), con meno di 50 dipendenti e 10 milioni di euro di fatturato. Tuttavia, un caso su 5 (19%) riguarda imprese con oltre 250 dipendenti e un fatturato compreso tra i 100 milioni e il miliardo di euro, cioè quelle che costituiscono spesso l’ossatura dei comparti industriali italiani ed è quindi importante che si approccino all’economia circolare. Tra le grandissime aziende, invece, è difficile trovare storie di successo, perché i prodotti circolari, laddove presenti, spesso sono ancora a livello di test o sono destinati specifiche nicchie di mercato. In termini relativi, colpisce la scarsa presenza (22%) di medie imprese, quelle tra 50 e 250 dipendenti e qualche centinaia di milioni di euro di fatturato, che rappresentano la parte preponderante del nostro tessuto industriale.
La maggioranza delle storie di successo (59%) riguarda imprese fondate prima del 2000 e nel 18% dei casi l’adozione dell’economia circolare ha quasi 20 anni. Vi sono però anche aziende giovani costituite tra 2015 ed il 2020 nate con l’intento di operare secondo i principi dell’economia circolare, una nuova generazione imprenditoriale orientata alla sostenibilità e modelli di business innovativi.
Non il ricorso a finanziamenti pubblici ma l’adozione di soluzioni circolari allo stesso tempo sostenibili ed economicamente pronte per il mercato. In 76 casi su 100, si è partiti dal riciclo per integrarlo con pratiche di riprogettazione del prodotto, che diventano la vera chiave per abilitare un riciclo di successo. Altrettanto utilizzate sono le pratiche di riuso (34 casi), conversione (23) e riparazione (22), ad indicare come i cicli dell’economia circolare siano la strada per immaginare nuovi modelli di business.
Nel 2024 sono inoltre entrate in vigore normative e standard internazionali per l’integrazione dei principi di sostenibilità nelle attività economiche, il rafforzamento della rendicontazione e l’allineamento alle pratiche internazionali.
Ad esempio, la Direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) ha introdotto, su mandato della Commissione Europea, standard unici per la rendicontazione di sostenibilità, gli European Sustainability Reporting Standard (ESRS). Parallelamente, la tassonomia dell’UE, un sistema di classificazione per identificare attività economiche sostenibili, si è integrata con i nuovi criteri tecnici di valutazione entrati in vigore a gennaio 2024, che includono esplicitamente la transizione verso un’economia circolare.
Nel contesto internazionale, l’ISO ha pubblicato una serie di nuovi standard che forniscono un linguaggio comune e una guida dettagliata per l’attuazione dei principi di economia circolare. A livello nazionale, l’aggiornamento della normativa tecnica UNI/TS 11820:2024 rappresenta un ulteriore passo in avanti, consentendo di valutare il livello di circolarità di un’organizzazione attraverso indicatori chiave che generano un punteggio finale compreso tra 0% e 100%. Tre le modalità di valutazione: autovalutazione, valutazione da parte dei clienti e verifica indipendente da parte di enti accreditati.
Allargando lo sguardo, vi sono anche altre normative che nel 2024 hanno dato ulteriore stimolo all’adozione dell’economia circolare, come quelle sull’ecodesign, sul diritto alla riparazione e sulla responsabilità estesa del produttore, che stanno ridefinendo le filiere produttive e promuovendo pratiche sostenibili lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti. Né va dimenticata la regolamentazione delle materie prime critiche: iniziative come il Critical Raw Materials Act dell’UE e il Decreto Materie Prime Critiche italiano (del giugno 2024) cercano di rafforzare la trasparenza e la sostenibilità delle filiere, favorendo l’autonomia europea nell’approvvigionamento e nell’utilizzo di materiali strategici.